APERTURA - SEBASTIÁN LACUNZA
BUENOS AIRES
BUENOS AIRES
Il provvedimento, che obbligava a disfarsi dei media eccedenti la quota di mercato, è stato bloccato con il ricorso alla «giustizia»
Il 7 dicembre è diventato la data simbolo per il capitolo finale della guerra fra il governo di centro-sinistra di Cristina Kirchner e il Gruppo Clarín, il maggior conglomerato delle telecomunicazioni in Argentina e uno dei tre più importanti in America latina. Quello è il giorno in cui spira il ricorso che il Clarín ha presentato e ottenuto dalla magistratura per impedire l'entrata in vigore della legge sui media che attacca il monopolio del mercato.La legge in questione fu promulgata nell'ottobre 2009 dal governo di Cristina in un momento di sua estrema debolezza dopo l'estenuante conflitto con gli agrari sulle imposte e dopo la sconfitta ad opera del centro-destra nelle elezioni parlamentari di medio termine. Fu proprio la legge sui media una delle diverse iniziative che consentirono alla presidente in carica di rilanciare il suo progetto politico e di essere rieletta a valanga, col 54.1% dei voti, un anno fa, nonostante che in molti, a cominciare dal quotidiano Clarín, avessero decretato la fine del kirchnerismo.
Se il governo di centro-sinistra guidato da Cristina riuscirà a far entrare in vigore la legge, ciò che ancora non è affatto certo e per questo l'attesa per il 7 dicembre è grande, potrà dire di essere stata capace di modificare le regole che hanno retto la politica argentina fin qui, e allo stesso tempo avrà messo a segno un gran colpo anche a livello internazionale rispetto alla rottura del monopolio sul mercato dei media.
Questa settimana, la Corte Suprema è stata costretta a intervenire e ha chiesto a giurisdizione inferiore a risolvere "immediatamente" il merito della pretesa di Clarin, che è incostituzionalità.
Non appena promulgata la legge, Clarín mediante il ricorso alla giustizia riuscì a bloccare l'applicazione degli articoli che lo obbligavano a disfarsi dei media che eccedevano la quota di mercato consentita o che presentavano delle incompatibilità a vario titolo. Un giudice di Buenos Aires dispose una misura cautelare che congelò l'iter. Dopo un'infinità di ricorsi, la Corte suprema decise nel maggio scorso che il D-day era il 7 dicembre. Il mega-gruppo multimedia ha fatto valere il suo peso, che è grande, sui tribunali civili e commerciali, e anche il governo non è stato certo a guardare. Arrivati a questo punto, l'impresa ha già affermato che in ogni caso non rispetterà la legge perché si deve aspettare la decisione giudiziaria definitiva sulla sua incostituzionalità. A fronte di questa posizione il governo ha avvertito che nel caso si muoverà d'ufficio per forzare il trapasso delle licenze eccedenti il limite stabilito. Lo scontro si annuncia al calor bianco.
La Ley de servicios de comunicación audiovisual, passata in Congresso col voto del peronismo kirchnerista e di altri gruppi di centro-sinistra e centro-destra, ha rimpiazzato una legge imposta dalla dittatura militare del '76-'83, un regime che il Clarín, come gli altri principali media del paese, appoggiò e dal quale ricevette favori enormi, anche attraverso operazioni sinistre su cui la giustizia è ancora chiamata a far luce. Tuttavia è stato con i governi democratici, incluso il primo di Néstor Kirchner fra il 2003 e il 2007, che il gruppo si è trasformato in un gigante quasi senza paragoni nelle democrazie occidentali.
Televisa in Messico e Globo in Brasile hanno un valore superiore di mercato. El Mercurio in Cile è più dominante del Clarín in Argentina nel campo della stampa scritta. Murdoch, Berlusconi, gli spagnoli di Prisa, Bertelsman, Dassault o Nbc-Comcast sono conglomerati che, come logico trattandosi del Primo mondo, presentano valori di mercato più alti.
Ma la particolarità del Gruppo Clarín è che ha la leadership o vanta una posizione dominante su tutti i segmenti del mercato delle telecomunicazioni. Senza eccezioni: sette giornali, un sistema di tv via cavo (59% del mercato e monopolio in gran parte del paese), fornitura di Internet (23% del mercato), una decina di radio, quattro canali televisivi, 16 via cavo, un'agenzia di notizie, cinque riviste, un canale di notizie 24 ore, diritti sugli spettacoli, imprese produttrici per la tv e per il cinema, l'unica fabbrica di carta per giornali nel paese, testi scolastici, tipografie, etc. etc. Solo nel settore della telefonia, dominato dalla spagnola Telefónica, dall'italiana Telecom e dal messicano Carlos Slim, Clarín non è riuscito a sfondare e, secondo le voci correnti, questa fu la ragione che portò alla rottura fra Clarín e Néstor Kirchner nel 2007.
Un'ala importante dell'opposizione a Cristina e Néstor Kirchner (morto improvvisamente nell'ottobre 2010) si è erta nella difesa a spada tratta di Clarín, sostenendo che la legge sui media attacca la liberà di stampa e che il governo vuole instaurare una rete di stampa amica. A sia volta il mega-gruppo ha mobilitato un'ampia rete di organismi imprenditoriali, sociali e giornalistici sui quali esercita un potere formidabile, in certi casi assoluto.
Quel che è certo è che la legge impedirà la discrezionalità denunciata dai suoi critici in quanto fissa una serie di rigidi controlli incrociati del tutto assenti nella norma imposta dalla dittatura. Per di più, a differenza delle analoghe leggi promulgate negli ultimi anni in Venezuela e Bolivia, la legge argentina non stabilisce alcun controllo sui contenuti e al contrario sancisce una serie di diritti e garanzie, fra cui la pluralità di voci, richiamandosi alla legislazione internazionale più avanzata al riguardo, come quelle di Canada, Stati uniti o Germania. Una legge che si è meritata il giudizio positivo dal relatore sulla libertà di espressione dell'Onu, Frank La Rue; di Reporter senza frontiere, di sindacati e accademici di tutto il mondo.
Una delle novità portate dalla legge è che Clarín, quando si è visto sotto attacco per la prima volta nella sua storia (altri governi ci hanno provato ma il tutto si concludeva in un fuoco di paglia), si è dovuto rassegnare a metterci la faccia e quelli che fino ad ora erano stati segreti, voci o verità sotterrate sulla sua influenza mefitica, sono divenuti oggetto di dibattito pubblico alla luce del sole. Per decenni, le denunce contro questo impero mediatico erano state consentite solo ai dibattiti accademici, agli organismi sociali e dei diritti umani, ad alcuni giornalisti coraggiosi. Denunce che non arrivavano mai ad avere la visibilità che avrebbero meritato, tanto che il super-manager dell'impresa, il poderosissimo Héctor Magnetto, è riuscito, finora, a mantenere un profilo bassissimo di visibilità pubblica.
Non appena promulgata la legge, Clarín mediante il ricorso alla giustizia riuscì a bloccare l'applicazione degli articoli che lo obbligavano a disfarsi dei media che eccedevano la quota di mercato consentita o che presentavano delle incompatibilità a vario titolo. Un giudice di Buenos Aires dispose una misura cautelare che congelò l'iter. Dopo un'infinità di ricorsi, la Corte suprema decise nel maggio scorso che il D-day era il 7 dicembre. Il mega-gruppo multimedia ha fatto valere il suo peso, che è grande, sui tribunali civili e commerciali, e anche il governo non è stato certo a guardare. Arrivati a questo punto, l'impresa ha già affermato che in ogni caso non rispetterà la legge perché si deve aspettare la decisione giudiziaria definitiva sulla sua incostituzionalità. A fronte di questa posizione il governo ha avvertito che nel caso si muoverà d'ufficio per forzare il trapasso delle licenze eccedenti il limite stabilito. Lo scontro si annuncia al calor bianco.
La Ley de servicios de comunicación audiovisual, passata in Congresso col voto del peronismo kirchnerista e di altri gruppi di centro-sinistra e centro-destra, ha rimpiazzato una legge imposta dalla dittatura militare del '76-'83, un regime che il Clarín, come gli altri principali media del paese, appoggiò e dal quale ricevette favori enormi, anche attraverso operazioni sinistre su cui la giustizia è ancora chiamata a far luce. Tuttavia è stato con i governi democratici, incluso il primo di Néstor Kirchner fra il 2003 e il 2007, che il gruppo si è trasformato in un gigante quasi senza paragoni nelle democrazie occidentali.
Televisa in Messico e Globo in Brasile hanno un valore superiore di mercato. El Mercurio in Cile è più dominante del Clarín in Argentina nel campo della stampa scritta. Murdoch, Berlusconi, gli spagnoli di Prisa, Bertelsman, Dassault o Nbc-Comcast sono conglomerati che, come logico trattandosi del Primo mondo, presentano valori di mercato più alti.
Ma la particolarità del Gruppo Clarín è che ha la leadership o vanta una posizione dominante su tutti i segmenti del mercato delle telecomunicazioni. Senza eccezioni: sette giornali, un sistema di tv via cavo (59% del mercato e monopolio in gran parte del paese), fornitura di Internet (23% del mercato), una decina di radio, quattro canali televisivi, 16 via cavo, un'agenzia di notizie, cinque riviste, un canale di notizie 24 ore, diritti sugli spettacoli, imprese produttrici per la tv e per il cinema, l'unica fabbrica di carta per giornali nel paese, testi scolastici, tipografie, etc. etc. Solo nel settore della telefonia, dominato dalla spagnola Telefónica, dall'italiana Telecom e dal messicano Carlos Slim, Clarín non è riuscito a sfondare e, secondo le voci correnti, questa fu la ragione che portò alla rottura fra Clarín e Néstor Kirchner nel 2007.
Un'ala importante dell'opposizione a Cristina e Néstor Kirchner (morto improvvisamente nell'ottobre 2010) si è erta nella difesa a spada tratta di Clarín, sostenendo che la legge sui media attacca la liberà di stampa e che il governo vuole instaurare una rete di stampa amica. A sia volta il mega-gruppo ha mobilitato un'ampia rete di organismi imprenditoriali, sociali e giornalistici sui quali esercita un potere formidabile, in certi casi assoluto.
Quel che è certo è che la legge impedirà la discrezionalità denunciata dai suoi critici in quanto fissa una serie di rigidi controlli incrociati del tutto assenti nella norma imposta dalla dittatura. Per di più, a differenza delle analoghe leggi promulgate negli ultimi anni in Venezuela e Bolivia, la legge argentina non stabilisce alcun controllo sui contenuti e al contrario sancisce una serie di diritti e garanzie, fra cui la pluralità di voci, richiamandosi alla legislazione internazionale più avanzata al riguardo, come quelle di Canada, Stati uniti o Germania. Una legge che si è meritata il giudizio positivo dal relatore sulla libertà di espressione dell'Onu, Frank La Rue; di Reporter senza frontiere, di sindacati e accademici di tutto il mondo.
Una delle novità portate dalla legge è che Clarín, quando si è visto sotto attacco per la prima volta nella sua storia (altri governi ci hanno provato ma il tutto si concludeva in un fuoco di paglia), si è dovuto rassegnare a metterci la faccia e quelli che fino ad ora erano stati segreti, voci o verità sotterrate sulla sua influenza mefitica, sono divenuti oggetto di dibattito pubblico alla luce del sole. Per decenni, le denunce contro questo impero mediatico erano state consentite solo ai dibattiti accademici, agli organismi sociali e dei diritti umani, ad alcuni giornalisti coraggiosi. Denunce che non arrivavano mai ad avere la visibilità che avrebbero meritato, tanto che il super-manager dell'impresa, il poderosissimo Héctor Magnetto, è riuscito, finora, a mantenere un profilo bassissimo di visibilità pubblica.