Sebastián Lacunza
BUENOS AIRES
BUENOS AIRES
Anno 2009, crisi internazionale. Analisti politici, esponenti dell'opposizione e la stampa mainstream latino-americana e europea si affrettano a pronosticare la fine dell'ondata di governi di sinistra in America latina. Populista, light, social-democratica, retorica, radicale, però in fin dei conti sempre sinistra.
I Kirchner avevano perso le elezioni di medio termine dopo uno scontro furibondo seguito all'aumento delle imposte sui super-profitti dei produttori agricoli. In Uruguay, a José Mujica, ex-tupamaro e politico atipico, era costato molto superare le resistenze esterne e quelle interne poste dal suo gradevole (e filo-Usa) predecessore Tabaré Vázquez. In Brasile, Dilma Rousseff, donna ed ex-guerrigliera, sembrava un po' soffocata dall'enorme popolarità di Lula da Silva. L'ex-prete Fernando Lugo si scontrava con le grosse difficoltà a controllare quel puledro indomabile che è la democrazia in Paeaguay. L'«asse del male» costituito da Rafael Correa in Ecuador, Hugo Chávez in Venezuela e Evo Morales in Bolivia navigava nelle acque tempestose di sempre. In Honduras si erano perfino azzardati a dare un golpe contro il liberale eterodosso Zelaya. I convegni della Società inter-americana della stampa (Sip), organismo che raggruppa i giornali dominanti del continente, erano (e sono) l'occasione per denunciare «la oppressione» contro la libertà d'espressione.
Intanto in Cile montava la stella dell'imprenditore miliardario di destra Sabatián Piñera, Ollanta Humala non figurava ancora nei sondaggi pre-elettorali e il successore di Alvaro Uribe, Juan Manuel Santos, galoppava verso il trionfo in Colombia. L'«asse del bene» si stava consolidando.
Anno 2011, crisi internazionale. Cristina Fernández de Kirchner si trova alla vigilia di una vittoria storica. Mujica governa l'Uruguay; Rousseff il Brasile; Humala il Perù. Piñera non ha potuto realizzare quasi nulla del programma sociale con cui ha battuto il centro-sinistra e si ritrova con indici di gradimento agghiaccianti. Santos si arrabatta per smarcarsi dalla strada dell'illegalità battuta da Uribe, un presidente che qualche giornale social-democratico spagnolo era arrivato a definire solo un paio d'anni fa una delle maggiori 100 personalità iberoamericani.
La principale minaccia per la rielezione di Chávez nel 2012 è il cancro che l'ha colpito e Correa si mantiene sulla cresta dell'onda. Solo Evo al momento appare in difficoltà, ma chi si azzarderebbe a preveder che non sarà rieletto?
Se c'è una cosa dimostrata negli ultimi anni è che l'opposizione strutturata intorno ai media non arriva a niente e che, davanti alle burrasche dell'economia internazionale i latino-americani hanno sviluppato come nessuno la capacità di distinguere per tempo le acrobazie retoriche usate per giustificare i programmi di aggiustamento.
Però parlare di «governi latino-americani di sinistra» comporta dei rischi. Fra la realtà dell'Argentina e quella dell'Honduras ci passa un mondo. Da Chávez alla «Concertación» cilena, un abisso pratico ed estetico.
Il punto di coincidenza sta nel fatto che quasi tutti i governi dell'America latina hanno alla loro destra un'opposizione che sbava per tornare all'antica alleanza con gli Usa e alle ricette universali dell'Fmi. Un'opposizione che preferisce, in genere, mettere uno stop alle riforme civili, «rimettere ordine» al paese (ossia, reprimere le proteste sociali) e scrivere la parola fine ai processi contro i regimi dittatoriali del recente passato.
Il «sinistrometro» non sempre porta a risposte chiare. I Kirchner, ad esempio, furono giovani peronisti di sinistra negli anni '70, durante la dittatura si dedicarono alla professione di avvocati e agli affari, e poi, in democrazia, ritornarono, pur da discoli, al peronismo.
Se il metro di misura si riferisce alla traiettoria, Mujica, Rousseff, Lula e Michelle Bachelet suffrirono il carcere contro le rispettive dittature e una volta tornata la democrazia, entrarono in partiti progressisti. Ma tuttavia se si applica il «sinistrometro» alla politiche pubbliche, i Kirchner possono presentare una linea di verità e giustizia sui crimini delle dittatura che non ha paragoni nella regione, la ristatalizzazione delle pensioni private, una legge anti-monopolio del sistema mediatico elogiata da esperti di tutto il mondo, il matrimonio gay e una serie di riforme che altri presidenti latino-americani dal passato più coerente e «di sinistra» non hanno saputo o potuto portare avanti.
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