BUENOS AIRES
La Piazza di Maggio, cuore della vita politica di Buenos Aires, si è di nuovo riempita nella notte di domenica e fino all'alba di ieri. Cristina Fernández de Kirchner stava celebrando la maggior vittoria in un'elezione presidenziale dal ritorno della democrazia nell'83, con il 54% dei voti, che la catapultava a un secondo mandato per i prossimi 4 anni.
Più ancora che la conferma del kirchnerismo, sorto nel 2003 con la vittoria di Néstor Kirchner, il voto di domenica ha fatto emergere in Argentina il «cristinismo».
La morte e resurrezione politica della presidenta sembra avviare una nuova fase. A 37 punti di distanza, 17%, si ritrova il secondo arrivato, il governatore della provincia di Santa Fe Hermes Binner (socialista di centro-sinistra) e ancora più indietro, 11%, Ricardo Alfonsín, centrista della Unión civica radical, figlio dell'ex-presidente Raúl ('83-'89).
Spazzati via dalla scena politica due protagonisti degli ultimi decenni: Eduardo Duhalde (peronista di destra), 6%, e Elisa Carrió (una mistica di destra),1.8%.
Una delle chiavi che danno il senso a questo fenomeno è che la Piazza di Maggio scoppiava l'altra notte di giovani e di ragazzi, un settore sociale che fino a pochi anni fa guardava alla politica con sospetto e disprezzo, che ora levava bandiere con su scritto «Cris-pasión» e ha fatto la sua clamorosa apparizione quando morì improvvisamente Néstor Kirchner il 27 ottobre dell'anno scorso.
Allora centinaia di migliaia di muchachos si riversarono nelle strade per lo sconcerto degli anti-kirchneristi e anti-peronisti che mai si sarebbero aspettati una cosa simile. La presidente peronista di centro-sinistra con il voto di domenica ha ripreso anche il controllo assoluto del parlamento. Secondo le proiezioni, alla Camera, dove era in netta minoranza e si rinnovava la metà dei deputati, il kirchnerismo doc tocca i 117 seggi, 135 con gli alleati, sopra la maggioranza assoluta (129). Al senato, rinnovato per un terzo, il Frente para la victoria di Cristina insieme agli alleati arriva a 38 seggi sul totale di 72.
Un altro dato fondamentale nella vittoria di domenica è il sostegno compatto dei ceti più bassi. Per quanto tradizionalmente peronista, il voto dei poveri si è riversato su Cristina in misura ancor più massiccia delle altre volte e ha toccato percentuali pazzesche nella Gran Buenos Aires e nelle province del nord (le più povere). Sono gli effetti combinati di una crescita economica complessiva che ha dato lavoro a settori emarginati dalla vita sociale e di programmi d'intervento come l'assegnazione di 47 euro mensili per figlio a tutti e la fornitura di computer gratis per gli studenti delle scuole secondarie pubbliche.
Non solo. La comunità artistica e intellettuali prestigiosi hanno avuto un ruolo essenziale nella sopravvivenza politica di Cristina e Néstor Kirchner nel 2008 e 2009, gli anni più duri dello scontro con gli agrari e della guerra senza quartiere mossa dai grandi media (il Clarín arrivò a prevedere che Cristina non sarebbe arrivata a concludere il mandato). Allora un fronte di attori famosi, cantanti, pittori e docenti universitari scese in campo in difesa delle politiche del governo.
Ma questa volta la presidenta ha sfondato anche nella classe media. Come provato dalla vittoria perfino nella città di Buenos Aires, sempre difficile per il peronismo, a Santa Fe e Córdoba. Ora però il «cristinismo» si ritrova di fronte a molte e non facili sfide. Nel campo dei servizi pubblici, i Kirchner hanno rinazionalizzato qualche impresa (acqua, poste, linee aeree) e hanno messo in piedi un colossale sistema di sussidi a imprese private (elettricità, gas, trasporti) su cui i controlli sono scarsi. Sussidi che distorcono l'economia e che risultano vantaggiosi non solo per i bassi redditi ma anche per chi potrebbe pagare di più.
Per quanto a Buenos Aires comprare abbigliamento può costare quanto a New York, un biglietto del metrò costa 0.19 centesimi di euro, la luce per una famiglia di classe media può non costare più di 10 euro a bimestre...
Sul piano economico ma anche simbolico uno dei momenti-chiave sarà quando la giustizia decreterà l'applicazione della legge anti-monopolio sui media, bloccata dai ricorsi di Clarín: la vendita obbligata di quell'immenso conglomerato che conta più di 200 canali via cavo e giornali nel paese promette si essere traumatico.
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