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Mujica guarda avanti

Sebastián Lacunza
BUENOS AIRES
Un brutto anniversario quello di José Pepe Mujica, l'ex-tupamaro che il primo marzo scorso ha celebrato il primo anno alla presidenza dell'Uruguay. Il 24 marzo la Corte inter-americana per i diritti umani ha condannato, per la prima volta, l'Uruguay per la desaparición di Maria Claudia Garcia, nuora del poeta argentino Juan Gelman e madre di Macarena Gelman. La sentenza obbliga lo stato uruguayano a portare avanti «e accelerare» le indagini sul caso per arrivare a scoprire dove si trovino i resti della desaparecida (che aveva 19 anni ed era incinta di 7 mesi) e «determinare le corrispondenti responsabilità penali e amministrative». A parte l'indennizazione di 185 mila dollari a Macarena, c'è un aspetto ben più problematico per Mujica nella sentenza. Che dichiara «senza effetto la Legge di caducità approvata dall'Uruguay nell'86 che in pratica garantisce l'impunità ai militari responsabili delle atrocità commesse durante la dittatura del '73-'85. La sentenza dà un anno di tempo al governo perché compia «un atto pubblico di riconoscimento delle responsabilità internazionali da parte dello stato uruguayano» e un massimo di due anni perché «garantisca l'accesso alle informazioni sulle gravi violazioni dei diritti umani occorse durante la dittatura che si trovano negli archivi statali».
Una doccia fredda, anche se attesa, per l'ex-tupamaro Mujica, arrivato alla presidenza a 75 anni fra le grandi aspettative della sinistra uruguayana.
Affabulatore straorinario con il suo linguaggio terra terra, Mujica fu eletto presidente a fine 2009 dopo una storia personale epica, che comprende un atroce passaggio in carcere nell'isolamento assoluto per quasi 15 anni.
Tuttavia, una volta insediato, Mujica non ha fatto nulla per l'annullamento della legge che sancisce l'impunità per i crimini del terrorismo di stato. Un atteggiamento che gli ha meritato gli elogi dell'opposizione conservatrice e le critiche di settori del (suo) Fronte ampio, la coalizione di centro-sinistra al governo.
Tre senatori della maggioranza, in sintonia con quel che dice Mujica - che «la giustizia guardi avanti» e che non ci siano «dei vecchi in prigione» (riferimento ai repressori che hanno goduto per anni dell'impunità) -, bloccano in senato un progetto che in pratica annulla l'amnistia. Una strana alleanza con i partiti dell'opposizione, Blanco e Colorado, entrambi conservatori. Il progetto, oltretutto, è stato presentato dall'alleanza di governo, che ha la maggioranza in entrambe la Camere e che indica come si tratti di un tema sentito dalla sinistra.
La svolta di Mujica, che va di pari passo con una linea economica che la stessa opposizione elogia come «continuista» rispetto alla vecchia gestione liberale di blancos e colorados, ha sollevato critiche in certi settori della coalizione al governo.
«L'Uruguay continua a proteggere le violazioni dei diritti umani con discorsi del tipo "bisogna voltare pagina", una posizione presa perfino da un settore della sinistra. Sembra incredibile ma è così. Però noi continuiamo a lottare per annullare la legge d'impunità», dice al manifesto Juan Castillo, coordinatore della principale centrale sindacale uruguayana, Pit-Cnt.
Durante la dittatura uruguayana del '73-'85 ci furono 240 desaparecidos, molti dei quali scomparsi in Argentina nell'ambito del Plan Condor, il piano di sterminio comune alle dittature del Cono sud negli anni '70.
L'Uruguay, il più piccolo fra i paesi del Mercosud, votò nel 1986 una legge di amnistia «all'uruguayana», giudicata come parte di una «transizione modello» dagli ex-presidenti conservatori Julio María Sanguinetti, colorado (1985-1990 e 1995-2000), Luis Alberto Lacalle, blanco (1990-1995) e Jorge Batlle, colorado (2000-2005).
Nel 1986, appena usciti dalla dittatura e con ancora addosso la paura dei colpi di coda militari (come quelli dei carapintadas in Argentina), Sanguinetti firmò la Ley de caducidad de la pretensión punitiva del Estado che di fatto sanciva l'impunità per i crimini della dittatura sulla base di un patto con i militari che prevedeva l'oblìo anche per le azioni della guerriglia dei Tupamaros, di cui cui Mujica fu un leader.
Nel 1989, dopo che centinaia di migliaia di uruguayani avevano raccolto le firme necessarie, fu convocato un referendum per annullare la legge. L'alleanza fra blancos e colorados per il no vinse con il 57% dei voti.
L'arrivo alla presidenza, nel 2005, dell'oncologo socialista Tabaré Vázquez - la prima volta di un partito di sinistra in Uruguay - ridiede a molti la speranza che si sarebbe potuto avanzare sulla strada della verità e della giustizia, soprattutto tenendo conto che l'Argentina di Néstor Kirchner aveva annullato gli indulti ai capi delle giunte militari della dittatura e le leggi di amnistia ai killer di minor rango, e che anche i tribunali del Cile - sulla carta un paese più conservatore dell'Uruguay - muovevano passi modesti ma percettibili in quella direzione.
Vázquez non toccò la legge, ma utilizzò la facoltà che essa gli concedeva di determinare eccezioni all'impunità, caso per caso. Di conseguenza si fecero alcuni processi e qualche repressore finì in carcere. Fra loro il generale Gregorio Álvarez, dittatore fra l'81 e l'85, condannato nell'ottobre 2009 per l'omicidio di 37 persone. La prima sentenza per crimini di lesa umanità in Uruguay era arrivata nel marzo di quell'anno, un quarto di secolo dopo la fine della dittatura, quando furono condannati 8 militari a pene fra i 20 e i 25 anni per la desaparición di 28 persone.
Tuttavia i familiari delle vittime e attivisti dei diritti umani sostengono che questi casi sulla base di «eccezioni» legate alla volontà presidenziale impediscono di mettere in marcia un iter giuridico erga omnes come si deve.
Insieme al primo turno delle elezioni presidenziali vinte da Mujica, nell'ottobre 2009, si tenne anche il secondo referendum sulla Legge di caducità, e tornò a vincere l'impunità con il 52% dei voti. In molti si sorpresero per l'appoggio tiepidissimo e solo formale dello stesso Mujica, dell'allora presidente Vázquez e di altri esponenti del Fronte ampio alla campagna per il sì.
Nel frattempo la Corte suprema ha pronunziato già tre sentenze fra il 2009 e il febbraio scorso sancendo la incostituzionalità della legge di amnistia relativamente a tre casi specifici. Ora la sentenza della Corte inter-americana. Sarà difficile per il presidente Pepe Mujica e il suo governo far finta di niente o «guardare avanti».

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