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Cristina disinnesca l'arma della carta

PAPEL PRENSA - LA PRESIDENTE FA APPROVARE DAL CONGRESSO UNA LEGGE CONTRO IL MONOPOLIO DELL'IMPRESA CHE FORNISCE LA MATERIA PRIMA AI GIORNALI ARGENTINI, FINORA APPANNAGGIO DEL GRUPPO CLARÌN
APERTURA - SEBASTIÁN LACUNZA
BUENOS AIRES
A due messi dalla sua schiacciante rielezione alla Casa rosada, la presidenta Cristina Fernández de Kirchner è riuscita a far approvare dal Congresso la legge che garantisce, secondo il governo, l'accesso egualitario alla carta per i giornali. Una norma che potrebbe essere intesa come una delle tante se non richiamasse immediatamente gli ultimi quarant'anni dell'Argentina e non si tenesse in conto chi sono i padroni dell'unica impresa locale che rifornisce il mercato della carta.
In concreto, la legge approvata dal senato giovedì scorso tocca da vicino l'impresa Papel Prensa, proprietà del grande gruppo mediatico Clarín che ne detiene la quota del 49% e che pubblica il principale quotidiano del paese; dell'altro quotidiano (e socio) La Nación (22.5%) e dello Stato argentino (28%).
Il testo passato stabilisce chel'impresa deve lavorare al 100% della sua capacità produttiva e che deve fissare un prezzo unico per tutti gli acquirenti, senza privilegiarne nessuno in particolare. Da quando il Clarìn e La Naciòn acquisirono l'impresa industriale nel '77, attraverso un procedimento oscuro in società con la dittatura militare, decine di quotidiani di ogni tipo e colore si sono lamentati del fatto che la fornitura di carta si sia trasformata in uno strumento di estorsione per tenere sotto controllo la linea di tutti.
La nuova legge sulla carta per i giornali stabilisce un controllo bicamerale, con parlamentari dei diversi gruppi, e una commissione incaricata del monitoraggio con dentro rappresentanti dei giornali di tutto il paese. E stabilisce anche che il governo nazionale sia l'autorità che garantisce l'applicazione delle condizioni di parità.
Clarín e Nación, che dominano buona parte del mercato e costituiscono di fatto la principale opposizione al governo peronista di centro-sinistra, hanno gridato all'attentato contro la libertà d'espressione, ricevendo subito l'avallo delle imprese mediatiche padronali dell'America e del mondo. Secono loro, il governo di Cristina con questa legge vuole ridurre l'importazione della carta e quindi rendere difficile la sua fornitura a giornali «indipendenti».
Un problema nell'argomentazione di Clarín e Nación è che tutto il male che denunciano possa arrivare nel futuro, nel caso non funzionasse nessuno dei controlli stabiliti dalla legge, loro l'hanno già praticato da decenni.
D'altra parte, il governo su questa legge ha ricevuto un consenso che va oltre la sua base elettorale, esattamente lo stesso che accadde nel 2009 con la Legge sui media. Legge che ricevette gli elogi di giuristi di mezzo mondo e che fissa criteri per la rottura del regime di monopolio e colpisce, soprattutto, il gruppo Clarín, un emporio multi-mediatico che occupa tutti i segmenti dell'industria della comunicazione esercitando, in diversi di loro, una posizione dominante e a volte unica. Fino al 2008 Clarín aveva mantenuto un buon rapporto con i Kirchner e ne aveva tratto benefici, ma da allora fra loro la guerra è a morte.
Giornali così diversi fra loro come l' »izquierdista» Página 12, il centrista Perfil, il liberale Ámbito financiero o il popolare Crónica hanno denunciato per decenni i tentativi del Clarín di strangolarli attraverso il controllo delle forniture della carta. Di fatto, alcuni dei giornali locali più importanti nelle varie province del paese, che si lamentavano per le stesse ragioni, sono oggi di proprietà del mega-gruppo.
Oltre al sostegno di qualche giornale, Cristina ha avuto di nuovo anche quello di accademici e di organizzazioni sociali che da anni denunciano lo strapotere del Clarín. Invece si sono tenute a debita distanza quasi tutta l'opposizione politica, inclusa quella di centro-sinistra, e altri organismi che diffidano del monitoraggio statale fissato dalla legge. Non mancano, nelle retroguardie kirchneriste, alcuni fanatici che lanciano proclami in favore della censura, ignorati finora da Cristina.
Una delle molte distorsioni provocate dalla legge Papel Prensa dalla dittatura a oggi è stata che, mentre le si conferiva il monopolio nazionale, si fissava un alto dazio doganale sull'importazione della materia prima. Negli ultimi anni il suo acquisto all'estero si è praticamente ridotto a zero per cui i costi addizionali per la carta si sono potuti diluire solo per i media più grandi capaci di evitare gli intermediari e accumulare stock. Le cifre attuali dicono che Papel Prensa risponde a circa il 60% delle necessità della carta dei giornali (il resto per forza di cose si deve importare) e di quella porzione Clarín e Nación si prendono il 71%.
Un altro capitolo, che fa parte di una infognata indagine della giustizia federale, è il modo in cui i proprietari di Clarín e La Nación riuscirono a prendere il controllo della società ai tempi della dittatura. Papel Prensa apparteneva all'imprenditore David Gravier, che morì in un presunto incidente aereo nell'agosto '76 e che, secondo i militari, era legato alla guerriglia dei Montoneros, il gruppo armato della sinistra peronista. Cominciò allora una pressione sfacciata sui suoi eredi perché vendessero l'impresa. L'operazione di vendita a Clarín, La Nación e La Razòn (un giornale poi assorbito da Clarìn) si concluse nel marzo '77. Una settimana più tardi Lidia Papaleo, vedova di Gravier, fu sequestrata e sottoposta a sevizie atroci.
Anche altri famigliari e manager di Papel Prensa furono sequestrati dalla dittatura. Lidia sopravvisse e nel 2010 rivelò che aveva dovuto vendere l'impresa del marito in quanto minacciata. Numerosi testimonianze, fra cui quella di un alto gerarca del regime militare, hanno confermato che fu proprio il regime militare a forzare la farsa della vendita dell'impresa a Clarín, La Nación e La Razón.

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