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Alejandrina Barry torna dall'inferno

ARGENTINA - Le complicità dei giornalisti
Alejandrina Barry torna dall'infernoTAGLIO MEDIO - Sebastián Lacunza
BUENOS AIRES
TAGLIO MEDIO - Sebastián Lacunza - BUENOS AIRES
I titoli della rivista Editorial Atlántida tra la fine del 1977 e gennaio 1978 apparivano commoventi.
«A loro non importa di Alejandra», «I figli del terrore» e «Anche questo è terrorismo. Alejandra è sola». Sembrava una storia degna di essere raccontata dalle pubblicazioni settimanali più importanti. Una bambina di tre anni era stata abbandonata dai genitori che avevano preferito dare la vita come «terroristi montoneros» piuttosto che accudire la loro figlia indifesa.
Le riviste Gente (generalista), Somos (politica) e Para ti (donne) furono il veicolo ideale per riprodurre la storia ufficiale secondo cui il padre della bambina, John Alec Barry, era «caduto in uno scontro in Uruguay» e che la madre, Susana Mata, aveva ingerito una pastiglia di cianuro quando si vide circondata dai militari, in una casa a 25 chilometri da Montevideo.
Adesso la storia vera. Alejandrina Barry (la maschera della dittatura la chiamò per errore «Alejandra») era nata a Buenos Aires il 19 maggio del 1975, nel carcere di Olmos dove sua madre, Susana, militante della guerriglia peronista di sinistra Montoneros, era detenuta e da dove sarebbe stata liberata. In un contesto caotico alla guida del paese c'era un governo peronista controllato dall'ultradestra.
Con il golpe militare del marzo 1976 la macchina della morte subì un'accelerazione e nei due anni successivi sarebbe stata sequestrata la maggior parte dei 30 mila desaparecidos lasciati dalla dittatura. Per montoneros e altre organizzazioni guerrigliere iniziò una caotica ricerca di vie di fuga.
Alla fine del 1977 Susana, John Barry e altre coppie di montoneros con i figli si rifugiarono a Montevideo. Ma lì arrivò anche una squadra dell'Escuela superior mecánica de la armada (Esma), l'Auschwitz argentino, comandata da Jorge «El Tigre» Acosta, attualmente condannato all'ergastolo.
Erano i tempi del Plan Condor, del coordinamento tra le dittature del Cono sud del continente. Il «gruppo di lavoro» di Acosta spazzò via diverse famiglie di montoneros e dissidenti che si nascondevano a Montevideo, tra cui il noto pianista Miguel Ángel Estrella, scomparso e successivamente liberato. Molti bambini rimasero orfani o con i genitori «risucchiati» nell'Esma.
John Alec fu ucciso per strada il 14 dicembre 1977. Più tardi i militari circondarono la casa dov'erano rifugiate alcune bambine, tra cui Alejandrina. Fu qui che Susana Mata ingoiò la pastiglia di cianuro. A questi livelli e in certi ambienti era già conosciuta la soluzione finale che si portava a termine in decine di campi di concentramento in Argentina e, in particolare nel caso di Mata, la donna era già stata vittima di un sequestro nel 1974.
Tre bambine furono trasferite all'Esma dove, prima di essere registrate, furono immortalate in una impressionante foto appena pubblicata dalla rivista Mù di Buenos Aires. Poiché intervennero autorità di altri paesi e si parlò del sequestro nonostante la stretta censura che regnava in Uruguay, i militari non poterono appropriarsi delle bambine, come fecero invece in altri 500 casi.
Per quanto riguarda Alejandrina, la dittatura montò un'operazione giornalistica attraverso l'Editorial Atlántida. A 35 anni, dopo aver indagato sulla sua storia come tanti altri figli di desaparecidos, nel settembre del 2010 Alejandrina Barry ha presentato una denuncia contro responsabili di Editorial Atlántida affinché si verifichi la complicità civile con la dittatura militare.
Chi in quegli anni dirigeva la rivista Gente, ammiraglia di Editorial Atlántida, era Samuel Gelblung. Da quelle pagine partiva la principale strategia contro la «campagna anti-argentina». Ricovertito in un personaggio divertente e spregiudicato, con una sagacia riconosciuta dai suoi critici, Oggi Gelblung conduce un programma mattutino di attualità su Radio Mitre e altri canali televisivi, di stampa rosa, su Canal 13. Entrambi del grande gruppo Clarín.
La rivista Mù questo mese ha rivolto a Gelblung domande riguardo quell'operazione giornalistica. Pur riconoscendo che nulla di quanto era pubblicato su Gente sfuggiva al suo controllo, ha risposto di non ricordare come era stato gestito quel montaggio, e ha parlato di un possibile viaggio con assoluta imprecisione.
La denuncia contro Gelblung e di altri importanti editori è comunque un procedimento giudiziario e, che si chiarisca o no la sua posizione, è un altro capitolo delle ramificazioni dei processi contro i repressori e le loro responsabilità civili.
I nomi coinvolti sono impressionanti. Per la scomparsa di sindacalisti ci sono denunce contro direttivi di Mercedez Benz, Ford e Ledesma (zuccherificio appartenente a uno dei principali gruppi economici locali, Blanquier), e contro Clarin e La Naciòn per il traumatico «acquisto», appena prima della scomparsa dei suoi padroni, di Papel Prensa (fornitrice di carta per giornali). Se la giustizia avanza in questi procedimenti avrà attraversato il Rubicone.
(Traduzione di Marizen)

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