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Clarín, il blocco eterno è finito

Clarin, la fuga è finita
APERTURA - Sebastián Lacunza
BUENOS AIRES
APERTURA - Sebastián Lacunza - BUENOS AIRES
Di tutte le battaglie intraprese in Argentina dai Kirchner (Néstor prima e la moglie Cristina poi), alcune reali e altre retoriche, quella contro lo strapotere dei media, specialmente l'impero che fa capo al quotidiano Clarín, è indubbiamente la più improba ed estenuante. Ma ora la Corte suprema ora è entrata di forza sulla scena fissando il prossimo 7 dicembre come data limite per la verifica del ricorso legale presentato dal Clarín per impedire che al suo gruppo sia applicata la clausola anti-monopolio stabilita dalla nuova legge sui mezzi di comunicazione.
Il mega-gruppo aveva presentato un ricorso cautelativo contro la Ley de servicios de comunicación audiovisual approvata nel 2009, una norma diretta a rendere pluralistica l'informazione, che non interferisce sui contenuti, che ha ricevuto il plauso di organismi sociali e per i diritti umani in Argentina, e di esperti di tutto il mondo, fino all'ufficio Onu per la libertà d'espressione. Per il Clarín, invece, la legge vuole solo disintegrare il «giornalismo indipendente» critico verso un governo che definisce «autoritario», o addirittura «fascista» e «dittatoriale».
Il gruppo mortalmente nemico del governo guidato dalla peronista di centro-sinistra Cristina Fernández de Kirchner è riuscito a far approvare da un oscuro giudice che aveva servito la dittatura militare del '76-'83 un provvedimento di blocco, formalmente provvisorio ma tendenzialmente eterno. Clarín ha puntato tutto, attraverso mille arzigogoli legali e politici, sulla fine del kirchnerismo (gli è andata male nel 2011 con la conferma di Cristina alla Casa rosada, ora spera nel 2015), però la Corte suprema il 22 maggio ha stabilito che la misura «cautelare» spira dopo tre anni. Se entro dicembre il giudice di prima istanza non risolverà la questione di fondo (l'incostituzionalità), cosa che sembra difficile, la Autoridad de servicios de comunicación audiovisual avrà il potere di intimare a Clarín di piegarsi alla legge sui media.
Il massimo tribunale argentino, i cui giudici godono di un forte consenso sociale, ha criticato con fermezza la strategia dilatoria del Clarín aggiungendo che il gruppo non si è neppure preoccupato di specificare quali sarebbero i diritti costituzionali violati dalla legge sui media. La Corte, che ha criticato anche il governo per altri aspetti della legge in cui il Clarín non c'entra, ha detto che la nuova norma non colpisce la libertà d'espressione, al massimo si potrebbe porre il problema dei danni sempre insiti nello smantellamento di un impero.
Clarín, che è un gruppo mediatico fra i più poderosi dell'America latina, s'impose come dominante durante l'ultima dittatura. Altri mega-imperi come Televisa in Messico o Globo in Brasile esibiscono numeri ancor più eclatanti, ma nessuno gode di una rete così dominante, che tocca tutte le voci della comunicazione in un singolo paese. Il gruppo Clarín include tv in chiaro e a pagamento, canali informativi e musicali, case produttrici e il controllo della carta per i giornali, fornitura di internet, una decina di radio e un'agenzia di notizie, diversi portali web, telefonia, una decina di giornali, rivista e molto altro business.
Le legge sui media voluta dal governo, che ha rotto con Clarín nel 2008 dopo una buona convivenza durata quattro anni, fissa alcune incompatibilità che obbligherebbero il gruppo, ad esempio, a liberarsi di un terzo dei suoi abbonati via cavo e a vendere alcuni canali tv.
I critici di Cristina, sia i «clarinisti» (gran parte dell'opposizione politica) sia altri che hanno lottato durante anni per una nuova legge sui media, puntano su due aspetti: primo, che è stato il governo di Néstor Kirchner (presidente dal 2003 al 2007 e morto nel 2010) a consentire a Clarín, con una risoluzione del 2007, di creare il virtuale monopolio del cavo (il suo principale asset) a Buenos Aires e altre città; secondo, di aver stretto patti con altre holdings mediatiche minori che trasgrediscono la legge anch'esse. Il governo risponde che finora sarebbe stato controproducente per il pluralismo esigere che altri attori, più piccoli ma alcuni di loro ugualmente poderosi, cominciassero a smantellare mentre l'attore dominante Clarín continuasse a godere del privilegio "provvisorio" elargito dalla magistratura. Se la norma ottiene il via libera definitivo, secondo il kirchenrismo, tutto il campo delle comunicazioni dovrà adeguarsi alla legge. Qualche cambiamento positivo nel panorama mediatico si è registrato, ma resta da dimostrare che il kirchnerismo voglia applicare la legge con rigore e senza beneficiare troppo i suoi amici.
Se negli ultimi quattro anni la guerra senza quartiere fra Clarín e il governo ha dominato quasi per intero la scena politica, è difficile anticipare quale sarà il voltaggio toccato dallo scontro se il mega-gruppo mediatico dovrà cominciare a smantellare e vendere parte del suo impero. Ma c'è anche chi azzarda l'ipotesi che a Clarín restino altre cartucce legali e amministrative per trascinare il provvedimento «provvisorio» a suo favore fino al 2015 e accendere ceri per riuscire a liberarsi dal kirchnerismo una volta per tutte.

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